L’abbazia di San Giovanni Evangelista è uno dei complessi Benedettini più antichi e importanti di Parma. Il grandioso insieme di edifici, situato proprio dietro al Duomo e comprendente la chiesa, il monastero e l’antica spezieria, possiede una storia millenaria: fondato nel 980 dal vescovo Sigifredo II, da allora è sopravvissuto a lotte tra feudatari, occupazioni militari, espropriazioni e soppressioni da parte dello Stato.
Nel 1477, in seguito a un feroce scontro tra signori feudali, scoppiò un incendio che danneggiò gravemente il complesso. Ma non tutto il male venne per nuocere: questo fatto fornì l’occasione ai monaci per abbattere il vecchio e angusto edificio e, sfruttando le ingenti ricchezze accumulate nei secoli precedenti, ricostruirlo interamente, facendogli assumere l’aspetto attuale.
Sebbene l’attivismo dei monaci in campo assistenziale, caritatevole e culturale fosse ampiamente attestato già nel Medioevo, fu in epoca rinascimentale che l’abbazia di San Giovanni divenne uno dei principali centri di sviluppo dell’umanesimo parmense.
Per la decorazione pittorica degli interni, l’abate riuscì infatti ad assicurarsi i servigi del giovane Antonio Allegri (meglio noto come il “Correggio”), che si era imposto all’attenzione dell’Italia intera affrescando la Camera della Badessa nel Monastero di San Paolo. Il ciclo di affreschi che realizzò per i monaci benedettini costituì il suo primo incarico pubblico di grande prestigio, nonché la testimonianza della sua maturità artistica e il biglietto da visita per i successivi importanti incarichi (vedere “L’Assunzione della Vergine” nella Cattedrale di Parma).
Per maggiori notizie sull’impianto architettonico del complesso o le superbe opere decorative presenti vi suggeriamo gli ottimi articoli presenti su Wikipedia e sul sito ufficiale del monastero di San Giovanni.
In questa sede ci preme raccontare di un luogo particolare, facente parte del complesso e tuttavia spesso ignorato dai turisti e un po’ dimenticato dagli abitanti stessi di Parma. Percorrendo la via che costeggia la parete sinistra del monastero, dopo pochi metri si potrà notare un piccolo portone antico in legno, che vi condurrà alle sale dell’Antica Spezieria.
Le spezierie ricoprivano, nei secoli scorsi, le funzioni delle attuali farmacie: lo speziale si occupava di trattare e mescolare erbe medicinali e spezie per produrre unguenti, tisane e sciroppi a base naturale. Nel caso della Spezieria di San Giovanni, le erbe erano coltivate direttamente dai monaci nell'”Orto dei Semplici” (Hortus Simplicium): nel Medio Evo infatti erano chiamati “semplici” i principi curativi ottenuti direttamente dalla natura, mentre “compositi” quelli creati mescolando e trattando sostanza diverse.
Le spezierie non erano le uniche strutture a trattare le erbe: già nel Medioevo infatti esistevano empori e venditori ambulanti che distribuivano prodotti erboristici e “medicamentosi”. Tuttavia i monaci, avendo a disposizione strumenti e strutture adeguate, vaste conoscenze in materia e la possibilità di importare grosse quantità di spezie dall’Oriente, potevano agevolmente imporsi sulla concorrenza: e questo è proprio quello che fecero i monaci benedettini di Parma, tanto che i documenti dell’epoca definiscono la spezieria di San Giovanni un’azienda “leader nel settore”.
La fortuna dell’attività durò fino agli inizi dell’Ottocento: dopo essere sopravvissuta alla secolarizzazione avvenuta nel 1766, la conduzione della spezieria a partire dal 1820 venne affidata alla famiglia Gardoni, che la mantenne in vita fino al 1881. Quando l’ultimo speziale morì, i monaci non giudicarono vantaggioso riscattare la struttura, che venne acquistata dallo Stato. Oggi sopravvive come museo che afferisce alla Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici di Parma e Piacenza ed è visitabile al modico ingresso di 2 euro (gratuito per gli under 18) e riserva davvero un fascino unico.
A guidare e coinvolgere i visitatori con sapienza e passione c’è una giovane guida, Serafina Filippelli, che vogliamo ringraziare per la disponibilità e professionalità dimostrate nell’accoglierci e mettersi a disposizione per raccontarci di quel luogo e soddisfare ogni nostra curiosità.
L’atmosfera che si respira all’interno è davvero affascinante: gli scaffali accolgono contenitori misteriosi, mentre mortai e alambicchi disseminati ovunque evocano figure di alchimisti, e intarsi, decorazioni pittoriche e mobilio richiamano epoche e stili molteplici. Ci si abitua subito agli spazi angusti ma accoglienti, ed è facile perdersi nella contemplazione delle scritte sui contenitori, cercando di immaginare quali strane sostanze potessero nascere in un luogo come questo.
La Spezieria si compone di quattro sale:
la Sala del Fuoco, così chiamata per la presenza del camino, era deputata all’accoglienza dei clienti e alla vendita dei prodotti. Vi sono esposti, oltre a decine di idrie e albarelli (i contenitori in maiolica e porcellana per i liquidi e le spezie), anche alcune bilance ottocentesche e piccoli pesi. Da questa sala si accedeva a destra alla Sala dei Veleni, il cui ingresso però poi è stato murato, mentre a sinistra vi è l’ingresso al Laboratorio, che custodisce il pozzo e l’ingresso della cantina, luogo indispensabile per la conservazione delle spezie.
Oltrepassando la soglia custodita dall’aquila di San Giovanni, si giunge alla Sala dei Mortai, dove i monaci pestavano qui le spezie. Questa terza stanza è arredata con mobili imponenti a tutta altezza sulle pareti, uno stile tipico del gusto tardo manierista, mentre all’interno delle lunette che circondano la stanza sono dipinti i medici dell’antichità greco-classica.
Infine c’è la Sala delle Sirene, così chiamata per le figure lignee scolpite nelle paraste degli scaffali. Quest’ultima sala è caratterizzata da ornamenti a grottesca, teche contenenti manuali di farmacia posti agli angoli della sala e, nelle lunette superiori, immagini degli speziali che si sono succeduti nella conduzione della spezieria.
Questo articolo, questo nostro contributo, vuole essere il primo di una serie, in cui vi racconteremo di altri luoghi suggestivi e affascinanti della comunità benedettina parmense.
Nei prossimi articoli:
- L’esplorazione del Monastero di San Giovanni, con i chiostri, la biblioteca e la foresteria
- La Badia di Santa Maria della Neve a Torrechiara, dove i monaci benedettini si rifugiarono dopo la soppressione del 1889
- Badia Cavana a Lesignano Bagni, un antico monastero del 1100